Morto Andrzej Wajda, il regista della Solidarnosc

Andrzej Wajda, uno dei registi polacchi più famosi al mondo, si è spento ieri sera all’età di 90 anni a Varsavia per insufficienza polmonare dopo esser stato in coma per giorni. Aveva vinto la Palma d’oro a Cannes nel 1981 con il suo film L’uomo di ferro e nel 2000 ha ricevuto l’Oscar alla carriera.
Regista politico
Il suo ultimo lavoro Afterimage è stato presentato di recente durante il festival cinematografico di Gdynia, in Polonia, e sarà proiettato giovedì prossimo a Roma al Festival internazionale del cinema. Il film racconta la vita del pittore polacco Wladyslaw Strzeminski (1893-1952) e le repressioni da lui subite nel dopoguerra in Polonia per il rifiuto di piegarsi alle regole del “realismo socialista”, ovvero la dottrina ufficiale imposta agli artisti dal Partito comunista.
Wajda è stato un grande appassionato di storia polacca mostrando con incredibile sensibilità nelle sue pellicole l’evoluzione sociale e politica della Polonia senza mai scendere a compromessi. I suoi primi film sono stati dedicati alla dolorosa esperienza della seconda Guerra Mondiale e alla resistenza polacca ai nazisti, che occuparono il Paese per 6 anni.
La sua consacrazione internazionale arrivò con L’uomo di marmo, nel 1976, film che precedeva solo di qualche anno lo sciopero dell’agosto 1980 a Danzica e la nascita del sindacato Solidarnosc, con cui ha ottenuto il Premio della Critica internazionale di Cannes. Il tema viene successivamente portato avanti con L’uomo di ferro che racconta la storia del sindacato polacco Solidarnosch, in cui aveva militato, e del suo leader Lech Walesa fino a L’uomo della speranza sul premio Nobel Lech Walesa, presentato nel 2013.
La missione del cinema
I suoi lavori non sono il prodotto di una attenzione ossessiva per la politica polacca, piuttosto un invito alle generazioni presenti e future, in particolare polacche, a ricordare gli spiacevoli eventi passati per avvisare e prevenire affinché i suoi connazionali non ripetano più “i sacrifici inutili”, “l’eroismo invano”, “il culto della sconfitta” . Così il noto critico cinematografico polacco Tadeusz Sobolewski lo ricorda:
Il simbolo del cinema polacco che sta “annusando i tempi” e cerca di sottoporre le risposte alle domande che si pongono gli spettatori polacchi/ Ha creduto nella missione del cinema, nella responsabilità dell’artista di fronte alla società.